FRANCESCO SAVERIO NITTI E L’EUROPA SENZA PACE


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Il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale e della pace di Parigi viene attualmente ricordato in diverse forme in tutta Europa. In questo quadro generale rientra anche la commemorazione del centocinquantenario della nascita di Francesco Saverio Nitti e del centenario del suo primo Governo.

Considerata una delle massime figure di statista italiano e meridionalista, Nitti non è stato forse sempre adeguatamente riconosciuto. Uno dei motivi è certo la straordinaria lungimiranza e modernità di quest’uomo del Sud, nato nell’Ottocento, che non sempre fu compresa dai contemporanei. Un altro, il suo caratteraccio, i suoi commenti caustici e la sua assoluta indipendenza di giudizio che lo rendeva incontrollabile.

La questione meridionale, la difesa della pace, la cooperazione internazionale e soprattutto europea, la democrazia, la modernizzazione e lo sviluppo industriale dell’Italia: questi i temi centrali della sua azione di politico e di intellettuale. Va inoltre ricordata la sua proposta di legge di estendere il diritto di voto alle donne che, a causa dei ristretti tempi necessari per elaborare le nuove liste elettorali, fu rimandata alla successiva legislatura, ma che l’avvento del fascismo ritardò di oltre venti anni. Pare che ci fu chi emise dubbi sull’opportunità di dare il voto alle contadine analfabete del Sud, al che Nitti reagì con ira, fiero com’era di sua madre: ”Il voto delle contadine – esclamò – soprattutto delle nostre contadine (me lo lascino dire con superbia) delle nostre contadine meridionali, sarà nel complesso più intelligente, più sereno e soprattutto più equanime di quello delle grandi dame…” (dall’ampia biografia di Nitti scritta nel 1984 da Francesco Barbagallo.)

Le celebrazioni hanno avuto inizio il 15 novembre a Roma con una cerimonia in una Sala della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dove sono intervenuti diversi storici e politici quali Giuliano Amato, Presidente del Comitato per le celebrazioni, Paolo Savona per il Governo, Stefano Rolando, Presidente della Fondazione Nitti, e molte altre autorità in rappresentanza di università e di comuni collegati al percorso dello statista. Le celebrazioni continueranno per tutto il 2018 e il 2019 nei luoghi più carichi di significato nella vita di Nitti: Melfi dove era nato, Napoli dove si era formato e alla quale dedicò molti studi, Roma, dove aveva esercitato la sua attività di governo, Milano, la città della modernizzazione e dell’industrializzazione dell’Italia che gli stava a cuore, Parigi, il luogo del ventennale esilio e infine Maratea nella cui frazione di Acquafredda aveva fatto costruire una villa e dove la famiglia si rifugiò il primo anno del nuovo regime, finché le brigate nere assaltarono la sua casa natale a Melfi e la casa di via Farnese a Roma. Fu allora che Nitti scelse l’esilio. È stato anche proiettato in anteprima un docufilm di RAI Cultura, Francesco Saverio Nitti, l’ottimismo dell’agire, di Simona Fasulo per la regia di Nicoletta Nesler.

Figlio di una contadina e di un garibaldino e nipote di un carbonaro antiborbonico ucciso dai briganti (una tradizione ininterrotta, questa, di impegno patriottico che Nitti mai confuse con il nazionalismo), Francesco Saverio nacque a Melfi, in Basilicata, nel 1868. Era un ragazzino di intelligenza straordinaria, con una famiglia dalle entrate estremamente modeste, come dimostra la casetta natale, vicina al Centro Culturale Nitti, e che la Fondazione spera di poter trasformare in un museo.

Studiò a Venosa e a Potenza, poi all’Università di Napoli dove si laureò in Giurisprudenza a 22 anni. Intanto, da autodidatta aveva studiato francese, tedesco e inglese. Era convinto che il Sud avesse dato un enorme contributo all’unità d’Italia pagando un altissimo prezzo, molto superiore a quanto avesse ricevuto di ritorno.  Uomo del Sud, che non dimenticò mai nella sua azione politica, voleva trasformare il Meridione, e l’Italia intera, in un moderno paese industriale.

I suoi primi studi e le sue prime misure da ministro furono dedicate alla situazione miserabile dei contadini del Sud, e poi alla situazione dei reduci di guerra e delle loro famiglie. Credeva fortemente nella cooperazione internazionale, specialmente europea (non per niente si era sforzato di impararne le principali lingue), e nella pace. Purtroppo, la retorica la ebbe vinta sull’idea di sviluppo. I venti nazionalistici furono più forti e portarono alla fine della libertà e della democrazia. Nei due anni cruciali del suo Governo, 1919/20, prese parte alla Conferenza di pace di Parigi dove trovò profondo accordo con il delegato inglese John Maynard Keynes, prendendo chiaramente posizione contro la politica delle riparazioni e delle rappresaglie contro i vinti, nella convinzione che era il momento di ricostruire in uno spirito di pace per non alimentare revanscismi, tensioni, odi e desideri di riarmo dalle temibili conseguenze (come infatti avvenne dopo il Trattato di Versailles). Fu la sola grande figura della élite liberale italiana che, all’avvento del fascismo, scelse il volontario esilio, prima in Svizzera e poi in Francia. Tornato in Italia dopo la caduta del fascismo, partecipò ai lavori della Costituente. Si era anche parlato di nominarlo Presidente della Repubblica ma fu preferito alla fine Luigi Einaudi, che era stato suo alunno. Si dice che in ciò abbia giocato un ruolo il suo carattere incontrollabile e una certa reticenza della DC e degli Stati Uniti.

Oltre che uomo politico ed economista era un grande uomo di cultura e scrisse numerosi libri sui temi dell’Europa, della democrazia e del Meridione d’Italia. Mantenne la famiglia negli anni dell’esilio grazie alla sua collaborazione a numerosissimi giornali e riviste internazionali e di lui restano oltre 25.000 lettere scritte a politici e ricercatori di tutto il mondo (in realtà le scriveva, avendo avuto la ‘sciagura’ di imparare a scrivere a macchina, la moglie Antonia, figlia del giurista Federico Persico che era stato suo professore all’Università). Di solito le celebrazioni di centenari e bicentenari guardano al passato. Questa no, invoglia a guardare meglio il presente e soprattutto a pensare al futuro.

a.d.