PRESENZE E IMMIGRAZIONE ITALIANA IN SVEZIA


L’origine della presenza italiana in Svezia si perde nella notte dei tempi e, fin dai primi secoli dello scorso millennio, sulla scia dei primi missionari che dalla Germania e dall’Inghilterra si avventuravano fino a quelle latitudini estreme, si trovano tracce di individui provenienti dall’Italia.
Nella maggior parte dei casi sono religiosi, navigatori, artisti, saltimbanchi, artigiani, soldati di ventura, che vengono e stabilirsi oppure transitano per il paese. Il primo cenno storico risale al XII secolo, quando un Donatus Lombardus dirige i lavori della fabbrica del Duomo di Lund, nell’estremo sud del Paese.
La prima notizia sul reclutamento di mano d’opera dall’Italia risale al XVI secolo, durante il regno del primo sovrano del paese, Gustavo Vasa. Si racconta infatti che, secondo il protocollo di corte, in uso a quei tempi, anche a causa delle continue congiure che mettevano costantemente a repentaglio l’incolumità del sovrano, al termine dei banchetti, il bicchiere nel quale aveva bevuto il re doveva essere distrutto. A quell’epoca i bicchieri, i vasi e gli oggetti ornamentali di vetro in genere, venivano importati da Venezia, ragion per cui l’acquisto e l’importazione di questi prodotti rappresentava una voce molto importante nel bilancio economico della “neonata” monarchia. Fu questo il motivo per cui la corte decise di creare una propria vetreria e per tale ragione, due maestri vetrai vennero reclutati da Venezia e cominciarono a lavorare nella celebre Kungsholms Glasbruk di Stoccolma. In tal modo questi veneziani esportarono fuori dai confini della repubblica veneta i segreti dell’arte di produrre oggetti di vetro.

Per quanto concerne la presenza italiana in Svezia inoltre, a partire dal 1600 abbiamo varie testimonianze che ci rivelano l’arrivo di artisti e artigiani, compagnie girovaghe di saltimbanchi e di teatro, musicisti, pittori, scultori, stuccatori, tecnici che in genere attraversavano l’Europa in lungo e in largo, autori, tra l’altro, delle scene, dei costumi e degli effetti scenici ancora oggi esistenti e in uso nel famosissimo teatro della reggia di Drottningholm.
Alcuni di questi individui, che abitualmente giravano da un paese all’altro mettendosi al servizio dei potenti, per poi far rientro in patria, restarono in Svezia e per tale motivo, ancora oggi, ci si trova di fronte a svedesi “purosangue” che hanno cognomi prettamente italiani, quali Orlando, Rissi, Ambrosiani, Martini, Cavalli, Zanichelli, Notini, Ferrari, Bianchini e tanti, tanti altri.
Molti tra i primi immigrati si inseriscono a pieno titolo nell’assetto sociale svedese. Essi sono i musicisti che vengono assunti dei maggiori teatri del paese, alcuni dei quali diventati famosi, quali il bolognese Francesco Antonio Baldassarre Uttini (nato a Bologna 1723 – Stoccolma 1795) che fu ingaggiato con tutta la compagnia dal sovrano Adolf Fredrik e il veronese Jacopo Foroni, (nato a Valeggio sul Mincio 1825 – 1858 a Stoccolma), compositore e direttore dell’orchestra del Teatro Regio di Stoccolma e maestro della Cappella Reale dal 1849 alla morte. Jacopo Foroni, avendo partecipato a Milano alle Cinque Giornate, per non cadere nelle grinfie degli austriaci, dovette scappare e rifugiarsi a Stoccolma, dove conquistò una notevole popolarità tra l’alta società della capitale. Lo dimostra infatti il commovente necrologio a firma dello scrittore Auguste Blanche che descrive il suo ultimo incontro con il trentenne Foroni, poche ore prima che il colera causasse la morte repentina del musicista italiano.
A Stoccolma, da un matrimonio tra un italiano e una svedese, nacque colei che doveva divenire una grande celebrità della danza classica mondiale: Maria Taglioni (Stoccolma 1804 – 1884). La Taglioni è considerata ancora oggi una delle più grandi ballerine di tutti i tempi.
È verso la metà dell’Ottocento che si verifica il primo fenomeno consistente di immigrazione dal nostro paese. Si tratta per la maggior parte di suonatori di cornamuse provenienti dagli Abruzzi, dal Molise e dall’altopiano di Cassino, ai confini tra la Campania e il Lazio e figurinai della lucchesia.
I suonatori ambulanti di organetto, gli orsanti e artisti circensi provenivano, invece, dal granducato di Parma, Piacenza e Guastalla. I suonatori di organetto arrivavano spesso, provisti di Certificato di Miserabilità che i Comuni rilasciavano e che consentiva loro di muoversi liberamente nel Paese ed elemosinare.

« All’epoca la povertà era estesa e l’occupazione saltuaria, sotto forma di lavoro stagionale fuori del paese, era comune tra le popolazioni degli altipiani. Si guadagnavano da vivere, tra l’altro, come boscaioli, tagliatori di legna, muratori, recandosi nelle vicine regioni del nord, mentre le donne spesso lavoravano stagionalmente nelle risaie di Pavia » —  scrive il giornalista e scrittore Christian Catomeris nel suo volume in lingua svedese, con una brevissima sinossi in italiano, dal titolo “Gipskattor och Positiv” titolo tradotto in italiano “Gatti di gesso e organetti“ – in cui pubblica il risultato delle sue ricerche sugli Italiani a Stoccolma dal 1896 al 1910” 
Io cito: « La tradizione migratoria di queste zone è di vecchia data – aggiunge Catomeris. È del 1816, per esempio, un decreto del Ducato di Parma per limitare l’emigrazione in America. Fino al 1870 l’emigrazione si indirizzò principalmente verso l’Europa. In molti di questi villaggi montani, da dove partiva l’emigrazione, il 20 – 30% era domicialiata fuori dai centri abitati. Le prime basi dell’immigrazione in Svezia da quelle regioni hanno origine al principio del XIX secolo. Le notizie riguardano principalmente i suonatori di organetto. Nel periodo 1834 – 1860 sono registrati in Svezia circa 400 passaporti del ducato dell’epoca. I possessori di questi passaporti erano quasi tutti suonatori d’organetto e presentatori di spettacoli con animali ». (fine della citazione). 
Questi musicanti girovaghi, che per la massima parte vengono a trascorrere soltanto i mesi estivi in Svezia, diventano ben presto una componente di colore nella vita quotidiana svedese. Nell’archivio della Chiesa Cattolica di Stoccolma, ispezionando le varie buste, abbiamo trovato registrate moltissime persone. Un folto gruppo proveniva dal Comune di Tornolo ma vi erano anche persone provenienti dai Comuni di Madesano, Pellegrino, Varano de’ Melegari, Fornovo del Taro, Varsi, Solignano, Valmozzola e Bedonia per la provinvia di Parma. Mentre per la provincia di Piacenza il gruppo piú numeroso proveniva dai Comuni di Bardi, Bettola e Farini d’Olmo. Ma sono menzionati nomi di individui provenienti da Ferriere, Morfasso, Gropparello, Ponte dell’Olio e Podenzano.
Alcuni di questi si stabiliscono definitivamente in Svezia.
Per non tediarvi, non vi elencherò i nomi di tutte queste persone, a volte seguite dalle famiglie.
Delle 150 persone circa, provenienti da queste province e registrate a Stoccolma a cavallo tra il XIX e il XX secolo, quasi tutte erano suonatori di organetto, spesso sposati con prole, uomini anziani, che abitavano raramente a Stoccolma.
Solo il 7% degli immigrati dalle province di Parma e Piacenza risultano ancora residenti a Stoccolma intorno agli anni Venti.     
Tra questi i Franchi, dei Bruschi di Tarsogno, dei quali, Antonio era il suocero di mia suocera.

Anton, come veniva chiamato in Svezia, era un bell’uomo e la notizia non l’ho avuta solo ammirando le foto, ma da quanto ha scritto nel suo libro di memorie un noto romanziere svedese dell’epoca, Hans Zetterqvist, che ho tradotto in italiano per leggervelo.

-“ La vita procedeva tranquilla, ma qualche volta accadeva qualcosa che interrompeva il tran tran quotidiano. Arrivava Franchi.
Franchi era un suonatore ambulante di organetto che si esibiva nei cortili dei palazzi. Era italiano, un bell’uomo abbronzato con una bella voce e degli occhiche facevano accorrere alle finestre le servette per ammirarlo e che interrompevano i lavori domestici per tutto il tempo in cui sostava nel cortile.
Vi erano molti suonatori di organetti in giro per la città, ma Franchi era il più distinto. Egli era il re degli organetti e si diceva che possedeva tutti quelli che suonavano in città. Li noleggiava agli altri girovaghi e guadagnava tanti soldi.
Ci si vergognava persino di buttargli giù delle monetine, quei miseri due o cinque centesimi, ad una tale persona.
Franchi suonava e cantava canzoni italiane che nessuno capiva, ma che toccavano i cuori di tutti con quella voce triste e malinconica.
Alla fine del programma, caricava l’organetto sulle spalle e si allontanava, dopo aver fatto un enfatico inchino alle signore e alle ragazze affacciate alle finestre, per continuare la suatrionfale tournée nei cortili dei più eleganti palazzi della città. I ragazzi e le ragazzine stipati all’ingresso, si spostavano per farlo passare per poi seguirlo ostinatamente fino al prossimo cortile ». FINE DELLA CITAZIONE.

Antonio Franchi fa fortuna in Svezia. È, secondo il mio parere, l’antesignano del moderno “leasing” perchè acquista organetti in Germania e li noleggia ai conterranei. Abita in un bellissimo appartamento di proprietà al sud della Citta Vecchia, con vista sul Palazzo Reale e sull’intero centro di Stoccolma e possiede un edificio in cui allogiano tutti i suonatori di organetto con le famiglie al sud della capitale. Lo abbiamo trovato citato anche su un periodico svedese dell’epoca poichè si esibisce tra i padiglioni dell’Esposizione Internazionale di Stoccolma dell’inizio del XX secolo, abbigliato alla foggia dei montanari appeninici, cantando canzoni italiane, accompagnandosi con la chitarra insieme ad un artista circense svedese, molto noto nella Stoccolma dell’epoca, che si faceva chiamare con il nome d’arte, Brazil Jack, e suonava il violino.  Non so con precisione quando Antonio porta con se le due figlie – una delle quali era un’arpista provetta – avute da precedente matrimonio in Italia,  che sposano due costruttori edili finlandesi e si trasferiscono a Helsinki.
Antonio contrae matrimonio a Stoccoma con una immigrata di ottima famiglia sudeta, di religione cattolica e dall’unione nascono due figli maschi: Giuseppe e Luigi.
Giuseppe è dotato di un orecchio musicale formidabile, studia musica e ancor giovanesuona il flauto nella banda delle guardie reali. Ma non ha fortuna perchè muore ancora in giovane età. La triste storia del suo decesso è publicata in un libro e causò quasi una crisi politica in Svezia.
Luigi, mio suocero, che purtroppo non ho conosciuto perchè deceduto nel 1938, si laurea in ingegneria chimica a Uppsala e crea una fabbrica di bacalite che produce apparecchi per la famosa industria telefonica svedese Ericsson e macchine fotografiche per la Kodac.
Sposa, contro il volere della madre, una prima ballerina della Regia Opera di Stoccolma che nel 1921, dopo aver studiato a Milano il metodo Cecchetti con il maestro Grassi, diventa direttrice della scuola di ballo della Regia Opera di Stoccolma, Valborg Franchi, che negli anni venti è presidente della SAI, la Società Assistenziale Italiana.
Verso la fine dell’Ottocento si stabiliscono definitivamente in Svezia anche alcuni artisti, tra cui cantanti lirici e professori d’orchestra, reclutati direttamente dall’Italia in qualità di solisti oppure giunti in Scandinavia con le compagnie teatrali itineranti verso la fine del secolo scorso e all’inizio dell’attuale. Ci riferiamo agli antenati dei Frati, Galli, Tomba, Turicchia, Vecchi e di tante altre persone ormai inserite a pieno titolo nel contesto sociale svedese.
Dell\immigrazione italiana del 1947 ho già menzionato nel volume “Il miraggio svedese” e nel volume del Centenario della Fais.

Una immigrazione abbastanza numerosa comincia a verificarsi verso la fine degli anni Cinquanta, quando le spiagge Tirreniche e Adriatriche si popolano di giovani turiste nordiche. I latin-lovers si innammorano delle bionde e a volte giunoniche vichinghe e in Svezia si registra un flusso di “immigrati per amore”. La maggior parte di questa nuova mano d’opera viene assorbita dalla ristorazione e i giovani leoni iniziano a lavorare come sguatteri per poi diventare camerieri o addetti ai fornelli ma, con il boom della scarpa italiana degli anni Sessanta molti di loro si trasformano in agenti, rappresentanti e, in seguito, proprietari di negozi di scarpe.
Negli anni Sessanta a Stoccolma vi era un Console Onorario Italiano che non appena riceveva la visita di un giovane nuovo arrivato in cerca di lavoro rispondeva: meglio pane e cipolla a casa vostra che soffrire freddo e fame in queste latitudini!
Molti di questi giovani, oggi, sono inseriti a pieno titolo nella società svedese.
Nel decennio successivo, più precisamente nel 1971, nasce in pieno centro di Stoccolma la prima pizzeria e la gioventù svedese che fino ad allora, a causa della legge contro il diffuso fenomeno dell’alcolismo, non aveva quasi potuto accedere nei ristoranti, si riversò nelle pizzeriee che, ben presto, in tutto il Paese spuntarono a centinaia! Gli italiani lasciavano le industrie e gli altri mestieri per dedicarsi alla ristorazione.
Ma negli anni Settanta i mastini del fisco, dopo aver scoperto la presenza di “farina sporca nella pizza” – come fu battezzato dalla stampa il lungo processo nei confronti di una catene di pizzeria che aveva importato in Svezia la cosiddetta “partita doppia” – agli italiani, che decisero di cambiare aria, subentrarono i nuovi immigrati provenienti dalla Palestina, dal Libano, dalla Siria, che oggi gestiscono locali dove la pizza, sempre popolarissima, è accoppiata ai kebab e falaffel e altre specialità gastronomiche del medioriente.
Attualmente, dopo l’inizio dell’attuale crisi, si verifica la presenza di un nuovo flusso. Sono tanti i cervelli che l’Italia sta perdendo e molte famiglie che, con i magri risparmi accumulati, hanno deciso di emigrare sperando in uu futuro migliore per i figli.
Quotidianamente arrivano ai Club Italiani, alla Cancelleria Consolare dell’Ambasciata e a coloro che come chi vi parla ha un proprio sito web su internet, richieste di assunzioni, di informazioni, di aiuto da parte di persone pronte a lasciare l’Italia.
Oggi gli immigrati rappresentano oltre il 25% della popolazione svedese.
E con quest’ultima notizia, concludo ringraziandovi per l’attenzione.

    Angelo Tajani

PRESENZE E IMMIGRAZIONE ITALIANA IN SVEZIA


L’origine della presenza italiana in Svezia si perde nella notte dei tempi e, fin dai primi secoli dello scorso millennio, sulla scia dei primi missionari che dalla Germania e dall’Inghilterra si avventuravano fino a quelle latitudini estreme, si trovano tracce di individui provenienti dall’Italia.
Nella maggior parte dei casi sono religiosi, navigatori, artisti, saltimbanchi, artigiani, soldati di ventura, che vengono e stabilirsi oppure transitano per il paese. Il primo cenno storico risale al XII secolo, quando un Donatus Lombardus dirige i lavori della fabbrica del Duomo di Lund, nell’estremo sud del Paese.
La prima notizia sul reclutamento di mano d’opera dall’Italia risale al XVI secolo, durante il regno del primo sovrano del paese, Gustavo Vasa. Si racconta infatti che, secondo il protocollo di corte, in uso a quei tempi, anche a causa delle continue congiure che mettevano costantemente a repentaglio l’incolumità del sovrano, al termine dei banchetti, il bicchiere nel quale aveva bevuto il re doveva essere distrutto. A quell’epoca i bicchieri, i vasi e gli oggetti ornamentali di vetro in genere, venivano importati da Venezia, ragion per cui l’acquisto e l’importazione di questi prodotti rappresentava una voce molto importante nel bilancio economico della “neonata” monarchia. Fu questo il motivo per cui la corte decise di creare una propria vetreria e per tale ragione, due maestri vetrai vennero reclutati da Venezia e cominciarono a lavorare nella celebre Kungsholms Glasbruk di Stoccolma. In tal modo questi veneziani esportarono fuori dai confini della repubblica veneta i segreti dell’arte di produrre oggetti di vetro.

Per quanto concerne la presenza italiana in Svezia inoltre, a partire dal 1600 abbiamo varie testimonianze che ci rivelano l’arrivo di artisti e artigiani, compagnie girovaghe di saltimbanchi e di teatro, musicisti, pittori, scultori, stuccatori, tecnici che in genere attraversavano l’Europa in lungo e in largo, autori, tra l’altro, delle scene, dei costumi e degli effetti scenici ancora oggi esistenti e in uso nel famosissimo teatro della reggia di Drottningholm.
Alcuni di questi individui, che abitualmente giravano da un paese all’altro mettendosi al servizio dei potenti, per poi far rientro in patria, restarono in Svezia e per tale motivo, ancora oggi, ci si trova di fronte a svedesi “purosangue” che hanno cognomi prettamente italiani, quali Orlando, Rissi, Ambrosiani, Martini, Cavalli, Zanichelli, Notini, Ferrari, Bianchini e tanti, tanti altri.
Molti tra i primi immigrati si inseriscono a pieno titolo nell’assetto sociale svedese. Essi sono i musicisti che vengono assunti dei maggiori teatri del paese, alcuni dei quali diventati famosi, quali il bolognese Francesco Antonio Baldassarre Uttini (nato a Bologna 1723 – Stoccolma 1795) che fu ingaggiato con tutta la compagnia dal sovrano Adolf Fredrik e il veronese Jacopo Foroni, (nato a Valeggio sul Mincio 1825 – 1858 a Stoccolma), compositore e direttore dell’orchestra del Teatro Regio di Stoccolma e maestro della Cappella Reale dal 1849 alla morte. Jacopo Foroni, avendo partecipato a Milano alle Cinque Giornate, per non cadere nelle grinfie degli austriaci, dovette scappare e rifugiarsi a Stoccolma, dove conquistò una notevole popolarità tra l’alta società della capitale. Lo dimostra infatti il commovente necrologio a firma dello scrittore Auguste Blanche che descrive il suo ultimo incontro con il trentenne Foroni, poche ore prima che il colera causasse la morte repentina del musicista italiano.
A Stoccolma, da un matrimonio tra un italiano e una svedese, nacque colei che doveva divenire una grande celebrità della danza classica mondiale: Maria Taglioni (Stoccolma 1804 – 1884). La Taglioni è considerata ancora oggi una delle più grandi ballerine di tutti i tempi.
È verso la metà dell’Ottocento che si verifica il primo fenomeno consistente di immigrazione dal nostro paese. Si tratta per la maggior parte di suonatori di cornamuse provenienti dagli Abruzzi, dal Molise e dall’altopiano di Cassino, ai confini tra la Campania e il Lazio e figurinai della lucchesia.
I suonatori ambulanti di organetto, gli orsanti e artisti circensi provenivano, invece, dal granducato di Parma, Piacenza e Guastalla. I suonatori di organetto arrivavano spesso, provisti di Certificato di Miserabilità che i Comuni rilasciavano e che consentiva loro di muoversi liberamente nel Paese ed elemosinare.

« All’epoca la povertà era estesa e l’occupazione saltuaria, sotto forma di lavoro stagionale fuori del paese, era comune tra le popolazioni degli altipiani. Si guadagnavano da vivere, tra l’altro, come boscaioli, tagliatori di legna, muratori, recandosi nelle vicine regioni del nord, mentre le donne spesso lavoravano stagionalmente nelle risaie di Pavia » —  scrive il giornalista e scrittore Christian Catomeris nel suo volume in lingua svedese, con una brevissima sinossi in italiano, dal titolo “Gipskattor och Positiv” titolo tradotto in italiano “Gatti di gesso e organetti“ – in cui pubblica il risultato delle sue ricerche sugli Italiani a Stoccolma dal 1896 al 1910” 
Io cito: « La tradizione migratoria di queste zone è di vecchia data – aggiunge Catomeris. È del 1816, per esempio, un decreto del Ducato di Parma per limitare l’emigrazione in America. Fino al 1870 l’emigrazione si indirizzò principalmente verso l’Europa. In molti di questi villaggi montani, da dove partiva l’emigrazione, il 20 – 30% era domicialiata fuori dai centri abitati. Le prime basi dell’immigrazione in Svezia da quelle regioni hanno origine al principio del XIX secolo. Le notizie riguardano principalmente i suonatori di organetto. Nel periodo 1834 – 1860 sono registrati in Svezia circa 400 passaporti del ducato dell’epoca. I possessori di questi passaporti erano quasi tutti suonatori d’organetto e presentatori di spettacoli con animali ». (fine della citazione). 
Questi musicanti girovaghi, che per la massima parte vengono a trascorrere soltanto i mesi estivi in Svezia, diventano ben presto una componente di colore nella vita quotidiana svedese. Nell’archivio della Chiesa Cattolica di Stoccolma, ispezionando le varie buste, abbiamo trovato registrate moltissime persone. Un folto gruppo proveniva dal Comune di Tornolo ma vi erano anche persone provenienti dai Comuni di Madesano, Pellegrino, Varano de’ Melegari, Fornovo del Taro, Varsi, Solignano, Valmozzola e Bedonia per la provinvia di Parma. Mentre per la provincia di Piacenza il gruppo piú numeroso proveniva dai Comuni di Bardi, Bettola e Farini d’Olmo. Ma sono menzionati nomi di individui provenienti da Ferriere, Morfasso, Gropparello, Ponte dell’Olio e Podenzano.
Alcuni di questi si stabiliscono definitivamente in Svezia.
Per non tediarvi, non vi elencherò i nomi di tutte queste persone, a volte seguite dalle famiglie.
Delle 150 persone circa, provenienti da queste province e registrate a Stoccolma a cavallo tra il XIX e il XX secolo, quasi tutte erano suonatori di organetto, spesso sposati con prole, uomini anziani, che abitavano raramente a Stoccolma.
Solo il 7% degli immigrati dalle province di Parma e Piacenza risultano ancora residenti a Stoccolma intorno agli anni Venti.     
Tra questi i Franchi, dei Bruschi di Tarsogno, dei quali, Antonio era il suocero di mia suocera.

Anton, come veniva chiamato in Svezia, era un bell’uomo e la notizia non l’ho avuta solo ammirando le foto, ma da quanto ha scritto nel suo libro di memorie un noto romanziere svedese dell’epoca, Hans Zetterqvist, che ho tradotto in italiano per leggervelo.

-“ La vita procedeva tranquilla, ma qualche volta accadeva qualcosa che interrompeva il tran tran quotidiano. Arrivava Franchi.
Franchi era un suonatore ambulante di organetto che si esibiva nei cortili dei palazzi. Era italiano, un bell’uomo abbronzato con una bella voce e degli occhiche facevano accorrere alle finestre le servette per ammirarlo e che interrompevano i lavori domestici per tutto il tempo in cui sostava nel cortile.
Vi erano molti suonatori di organetti in giro per la città, ma Franchi era il più distinto. Egli era il re degli organetti e si diceva che possedeva tutti quelli che suonavano in città. Li noleggiava agli altri girovaghi e guadagnava tanti soldi.
Ci si vergognava persino di buttargli giù delle monetine, quei miseri due o cinque centesimi, ad una tale persona.
Franchi suonava e cantava canzoni italiane che nessuno capiva, ma che toccavano i cuori di tutti con quella voce triste e malinconica.
Alla fine del programma, caricava l’organetto sulle spalle e si allontanava, dopo aver fatto un enfatico inchino alle signore e alle ragazze affacciate alle finestre, per continuare la suatrionfale tournée nei cortili dei più eleganti palazzi della città. I ragazzi e le ragazzine stipati all’ingresso, si spostavano per farlo passare per poi seguirlo ostinatamente fino al prossimo cortile ». FINE DELLA CITAZIONE.

Antonio Franchi fa fortuna in Svezia. È, secondo il mio parere, l’antesignano del moderno “leasing” perchè acquista organetti in Germania e li noleggia ai conterranei. Abita in un bellissimo appartamento di proprietà al sud della Citta Vecchia, con vista sul Palazzo Reale e sull’intero centro di Stoccolma e possiede un edificio in cui allogiano tutti i suonatori di organetto con le famiglie al sud della capitale. Lo abbiamo trovato citato anche su un periodico svedese dell’epoca poichè si esibisce tra i padiglioni dell’Esposizione Internazionale di Stoccolma dell’inizio del XX secolo, abbigliato alla foggia dei montanari appeninici, cantando canzoni italiane, accompagnandosi con la chitarra insieme ad un artista circense svedese, molto noto nella Stoccolma dell’epoca, che si faceva chiamare con il nome d’arte, Brazil Jack, e suonava il violino.  Non so con precisione quando Antonio porta con se le due figlie – una delle quali era un’arpista provetta – avute da precedente matrimonio in Italia,  che sposano due costruttori edili finlandesi e si trasferiscono a Helsinki.
Antonio contrae matrimonio a Stoccoma con una immigrata di ottima famiglia sudeta, di religione cattolica e dall’unione nascono due figli maschi: Giuseppe e Luigi.
Giuseppe è dotato di un orecchio musicale formidabile, studia musica e ancor giovanesuona il flauto nella banda delle guardie reali. Ma non ha fortuna perchè muore ancora in giovane età. La triste storia del suo decesso è publicata in un libro e causò quasi una crisi politica in Svezia.
Luigi, mio suocero, che purtroppo non ho conosciuto perchè deceduto nel 1938, si laurea in ingegneria chimica a Uppsala e crea una fabbrica di bacalite che produce apparecchi per la famosa industria telefonica svedese Ericsson e macchine fotografiche per la Kodac.
Sposa, contro il volere della madre, una prima ballerina della Regia Opera di Stoccolma che nel 1921, dopo aver studiato a Milano il metodo Cecchetti con il maestro Grassi, diventa direttrice della scuola di ballo della Regia Opera di Stoccolma, Valborg Franchi, che negli anni venti è presidente della SAI, la Società Assistenziale Italiana.
Verso la fine dell’Ottocento si stabiliscono definitivamente in Svezia anche alcuni artisti, tra cui cantanti lirici e professori d’orchestra, reclutati direttamente dall’Italia in qualità di solisti oppure giunti in Scandinavia con le compagnie teatrali itineranti verso la fine del secolo scorso e all’inizio dell’attuale. Ci riferiamo agli antenati dei Frati, Galli, Tomba, Turicchia, Vecchi e di tante altre persone ormai inserite a pieno titolo nel contesto sociale svedese.
Dell\immigrazione italiana del 1947 ho già menzionato nel volume “Il miraggio svedese” e nel volume del Centenario della Fais.

Una immigrazione abbastanza numerosa comincia a verificarsi verso la fine degli anni Cinquanta, quando le spiagge Tirreniche e Adriatriche si popolano di giovani turiste nordiche. I latin-lovers si innammorano delle bionde e a volte giunoniche vichinghe e in Svezia si registra un flusso di “immigrati per amore”. La maggior parte di questa nuova mano d’opera viene assorbita dalla ristorazione e i giovani leoni iniziano a lavorare come sguatteri per poi diventare camerieri o addetti ai fornelli ma, con il boom della scarpa italiana degli anni Sessanta molti di loro si trasformano in agenti, rappresentanti e, in seguito, proprietari di negozi di scarpe.
Negli anni Sessanta a Stoccolma vi era un Console Onorario Italiano che non appena riceveva la visita di un giovane nuovo arrivato in cerca di lavoro rispondeva: meglio pane e cipolla a casa vostra che soffrire freddo e fame in queste latitudini!
Molti di questi giovani, oggi, sono inseriti a pieno titolo nella società svedese.
Nel decennio successivo, più precisamente nel 1971, nasce in pieno centro di Stoccolma la prima pizzeria e la gioventù svedese che fino ad allora, a causa della legge contro il diffuso fenomeno dell’alcolismo, non aveva quasi potuto accedere nei ristoranti, si riversò nelle pizzeriee che, ben presto, in tutto il Paese spuntarono a centinaia! Gli italiani lasciavano le industrie e gli altri mestieri per dedicarsi alla ristorazione.
Ma negli anni Settanta i mastini del fisco, dopo aver scoperto la presenza di “farina sporca nella pizza” – come fu battezzato dalla stampa il lungo processo nei confronti di una catene di pizzeria che aveva importato in Svezia la cosiddetta “partita doppia” – agli italiani, che decisero di cambiare aria, subentrarono i nuovi immigrati provenienti dalla Palestina, dal Libano, dalla Siria, che oggi gestiscono locali dove la pizza, sempre popolarissima, è accoppiata ai kebab e falaffel e altre specialità gastronomiche del medioriente.
Attualmente, dopo l’inizio dell’attuale crisi, si verifica la presenza di un nuovo flusso. Sono tanti i cervelli che l’Italia sta perdendo e molte famiglie che, con i magri risparmi accumulati, hanno deciso di emigrare sperando in uu futuro migliore per i figli.
Quotidianamente arrivano ai Club Italiani, alla Cancelleria Consolare dell’Ambasciata e a coloro che come chi vi parla ha un proprio sito web su internet, richieste di assunzioni, di informazioni, di aiuto da parte di persone pronte a lasciare l’Italia.
Oggi gli immigrati rappresentano oltre il 25% della popolazione svedese.
E con quest’ultima notizia, concludo ringraziandovi per l’attenzione.

    Angelo Tajani