L’inasprimento delle regole del nostro sistema previdenziale, a partire da quelle introdotte con la legge di riforma Monti/Fornero, sta creando una serie di ripercussioni inaccettabili sulla vita delle persone che, come Patronato Inca insieme alla Cgil, chiediamo con insistenza e convinzione di cambiare. In particolare, l’aspettativa o speranza di vita, applicata a tutto e a tutti indistintamente rappresenta una delle maggiori aberrazioni e iniquità sulla quale vogliamo richiamare l’attenzione.
Siamo ormai di fronte a un sistema che prevede un costante innalzamento di tutti i requisiti per poter ottenere la pensione. Per raggiungere la pensione anticipata dal 1 gennaio di quest’annoservono 41 anni e 10 mesi di contributi versati per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini, ma nel 2019 e 2020 ne serviranno 43 anni e 2 mesi per gli uomini e 42 anni e 2 mesi per le donne, quindi per i due anni successivi, 2021/2022verranno aggiunti altri 4 mesi e poi ogni due anni ulteriori 3 mesi, senza fermarsi mai.
Se prendiamo, ad esempio, il requisito di età richiesto per la pensione di vecchiaia, dal 2018, sia gli uomini che le donne, dovranno avere compiuto 66 anni e 7 mesi per poter avanzare la domanda, ma nel 2021 l’età verrà innalzata a 67 anni e 2 mesi; e sono già stabiliti successivi e costanti incrementi di tre mesi per ogni biennio, senza soluzione di continuità. Se ragioniamo di pensione minima contributiva, che si può raggiungere dopo aver versato 5 anni di contributi, l’età prevista nel 2016 è addirittura di 70anni e 7 mesi, ma anche questa si innalzerà costantemente, senza nessun limite.
Si deve considerare, inoltre, che la speranza di vita viene applicata a tutti, indipendentemente dal tipo di lavoro svolto; valgono le stesse regole per chi lavora in edilizia, per chi fa i turni in fabbrica o in ospedale, per chi lavora nelle scuole d’infanzia, in agricoltura o nelle stive delle navi. Si tratta di una vera e propria ingiustizia perché esistono studi statistici che dimostrano come l’aspettativa di vita sia diversificata tra le varie professioni a sfavore dei lavori più faticosi. Anche l’assegno sociale, che rappresenta una prestazione assistenziale per coloro che non hanno redditi e, quindi, non una pensione, è stato assoggettato alle regole dell’aspettativa di vita, innalzando con continuità l’età alla quale viene corrisposto.
A seguito di queste norme inique, gli effetti sulla vita delle persone sono evidenti; si è generato un sentimento collettivo di incertezza sul proprio destino lavorativo e previdenziale perché tutti si sentono in corsa per raggiungere l’obiettivo che si sposta sempre più in avanti. In particolare, per le fasce di lavoratori più giovani, coloro che hanno oggi un’età compresa tra i 25 e i 40 anni, è arduo poter indicare una data certa per il raggiungimento del requisito e questa incertezza influenza le scelte di vita delle persone e ha effetti negativi anche sull’economia del nostro paese per effetto di un pessimismo generalizzato e diffuso. L’aumentata aspettativa di vita che rappresenta un segno di benessere per la nostra società non può e non deve trasformarsi in una “condanna a vita”.
Il Patronato è impegnato a modificare questo sistema chiedendo di reintrodurre alcune certezze, come la fissazione di un limite agli anni di contributi da versare per la pensione anticipata, un limite di età per la pensione di vecchiaia, diversificando e riducendo questi limiti per i lavori più faticosi e usuranti. Queste modifiche farebbero riacquistare la fiducia a tante persone che potrebbero ricominciare a programmare le propria vita e renderebbero un po’ più equo e giusto il sistema previdenziale del nostro paese.
Fulvia Colombini, del collegio di presidenza Inca