Scrittura tra essenzialità e poesia, Marco Missiroli ospite all’IIC di Stoccolma

La scrittura tra essenzialità e poesia. Intervista a Marco Missiroli

24/10/2014

Marco Missiroli è nato nel 1981 a Rimini e da molti anni vive a Milano dove ha pubblicato numerosi libri tutti premiati con premi prestigiosi dal Campiello, al Comisso, dal Premio Bergamo al Tardelli.
Dalla sua parte anche il favore di critici e pubblico. Ho incontrato Marco Missiroli per un’intervista 
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Marco Missiroli. Foto Gian-Luca Rossetti

Marco Missiroli. Foto Gian-Luca Rossetti

Tu hai pubblicato numerosi libri pur essendo molto giovane, sei del 1981. Ricordo Senza Coda, Bianco, Il buio addosso ed adesso Il senso dell’elefante (Elefantens sinne) per la Contempo qui in Svezia). Questi libri hanno ricevuto l’attenzione della critica e del pubblico e numerosi premi letterari. Cosa si sente ad avere le luci della ribalta su di se?

-In realtà da adolescente non sognavo di diventare uno scrittore. Il mio primo libro l’ho letto a vent’anni e mezzo ed a 22 anni ho scritto il mio primo romanzo. Tutto è andato così veloce ed accelerato. I premi mi hanno aiutato, vincere il Campiello per debuttanti con il mio primo libro mi ha dato come dire più fiducia in me stesso, ma non solo questo, se i libri sono letti e piacciono dipende anche dagli argomenti che affrontano, argomenti sociali, a volte politici. Io credo però di proporre una chiave di lettura diversa di queste tematiche, forse più giovani ed attuali, e viste al di fuori del “palazzo.”

Sì, la cosa mi fa molto piacere.

Una cosa che ti caratterizza è l’uso che fai del linguaggio. Non si tratta di sperimentalismo fine a se stesso si tratta mi pare di lasciarsi attraversare dalla potenza intrinseca che hanno le parole.

-Luminoso, giustissimo. La lingua ed il racconto vanno parallelamente. Se tu hai una bellissima storia ma non hai una lingua, uno stile… no la cosa non funziona. Naturalmente vale anche il contrario, lo stile senza racconto rimane esercizio. Tuttavia ritengo lingua più importante del racconto, vedi l’esempio del premio Nobel Modiano. Ho cercato di giungere ad una lingua ad un linguaggio che fosse allo stesso tempo essenziale e poetico. Troppo essenziale e scheletrica la lingua diventa un elogio alla contemporaneità degli chat, ma troppo poetica diventa astratta e incomprensibile. Io ho cercato di creare uno stile tutto mio che concedesse un po’ all’uno e un po’ all’altra cercando un equilibrio. Io lavoro con un vocabolario ristretto, come Simenon, io lavoro sulle frasi che, pur essendo semplici, cambiano continuamente. Di questo forse il lettore non se ne accorge ma c’è un percorso studiato dietro ogni frase, un poco come per Calasso dell’ Adelphi. Bisogna mettere più energia nel creare la propria lingua ed in Italia purtroppo questo non avviene spesso.

Già, e di questo sforzo ti ringrazio personalmente. Il senso dell’elefante si basa sul legame di sangue con i figli. Il libro narra la storia di un ex prete Pietro che lascia la sua Rimini per Milano dove diventa portiere di un codominio di cui lui ha le chiavi. È un romanzo autobiografico almeno in parte ma la mia domanda è: c’è un’analogia tra il mestiere di prete e quello di scrittore? Al centro, anche nel romanzo, c’è il rapporto con la persona umana, mai giudicata e vista analizzata nel suo profondo.

-Si forse è così, comunque Pietro, un narratore mentale, ed io facciamo appunto lo stesso mestiere creiamo link tra i personaggi, tra i condomini, tra le persone. Quando due solitudini dello stesso peso si incontrano le due solitudini si trasformano in solidarietà. Questo è forse il senso del libro e ne diventa filigrana. Una solidarietà acquisita, sofferta mai gratuita che apre all’incontro. La cosa affascinante è che un portinaio possieda tutte le chiavi degli appartamenti.

E si chiama Pietro…

-Già, e Pietro a volte entra in un appartamento quando l’inquilino non c’è. Lo fa magari per provare le pantofole, per sentire il calore appena lasciato dai piedi. Perché? È un segreto. Uno dei segreti di questo libro, uno dei quattro segreti. Il lettore ne scopre uno e subito viene introdotto ad un altro. Ma alla fine c’è un nucleo, un nocciolo a cui tutto fa riferimento, ed è il legame solo apparentemente di sangue perché non si tratta necessariamente di una testimonianza o di un legame biologico, ma è il cuore di un padre che si apre a figli che non per forza devono essere biologici. L’idea del racconto mi venne leggendo la storia di tre elefanti nello Sri Lanka. I due elefanti adulti fanno deragliare un treno per salvare la vita di un elefantino. Muoiono per salvare chi non era nemmeno il loro figlio biologico. Il legame di sacrificio gratuito esiste tra gli esseri umani, ed è la solitudine a renderlo saldo e forte.

C’è una donna nel romanzo, Celeste, una figura quasi felliniana..

-Si infatti, siamo a Rimini in una città felliniana, nel 1965. Celeste appartiene al passato di Pietro, un vecchio amore che Pietro si porterà dietro mentalmente quando togliendosi l’abito talare si trasferirà a Milano per fare il portinaio. Celeste è un po’ una schiarita nella vita di Pietro che, liberatosi da un sacerdozio che non aveva mai desiderato, può finalmente ritrovarla.

Per ritornare a lingua e stile tu usi la punteggiature ed i segni di interpunzione in una maniera un po’ bizzarra…

-Io Uso dei periodi lunghi per poi farne altri ma magari corti, è un po’ come i Flaubert o per la petite musique di Céline con i tre puntini tra le frasi… questo crea una sinfonia, un ritmo abbastanza articolato che lega il significante al significato cioè la parola alla frase. Lingua, musicalità e significato sono elementi molto importanti nei miei libri, ma devono trovare un’armonia tra di loro altrimenti non funziona e il libro diventa una noia. Quando il libri che si scrivono cominciano ad annoiare il lettore non hai più nulla da dire come scrittore.

Il tuo prossimo libro uscirà a febbraio mi pare

-Si chiama Atti osceni in luogo privato ed l’educazione sentimentale di un ragazzino di 12 fino ai 36 anni. Prima a Parigi e poi a Milano. Nella sua vita incontra artisti e letterati ed io ho cercato, in maniera spero elegante, di raccontare l’incontro con il sesso in una Europa che va dalla metà degli anni settanta ai giorni nostri. Un racconto sulle difficoltà, le sofferenze le contraddizioni di una giovane vita. Cosa è l’osceno? Cosa è la libertà? Sono le domande che il libro propone. Esiste un’oscenità nelle scelte sessuali?

Ma attenzione non è un libro erotico, il sesso fa parte della ricerca e della mentalità del protagonista, non svolge il ruolo di un intrattenimento.

Guido Zeccola